venerdì 2 settembre 2011

Rughe : guai a chi me le tocca

Si racconta che Anna Magnani, al truccatore che la stava preparando per una scena, raccomandasse: "Non mi togliere neppure una ruga. Le ho pagate tutte care".
E c'é qualcuno che possa negare che quel viso irregolare , intenso e tormentato fosse anche incredibilmente bello ?
In un mondo in cui la bellezza é diventata una specie di imperativo categorico , una dittatura a cui nessuna sembra potersi sottarrre le rughe rappresentano un nemico da combattere , un incubo che accompagna ogni incontro con lo specchio . E ogni anno che passa scava solchi sempre più profondi nel viso e nell'anima e accettare la propria età diventa impossibile : creme , lifting , filler , chirurgia estetica di tutto e di più per cancellare i segni del tempo , per azzerare il vissuto , le esperienze , la felicità e il dolore e tutto quello che ha fatto di noi le donne che siamo oggi .
Io amo le mie rughe : sono la traccia di ciò che ho vissuto , sono le impronte che posso seguire e che mi riportano passo dopo passo alla ragazza che ero un tempo giovane e intatta senza segni sul viso e nell'anima , bella della bellezza degli anni giovani fatta di stupore e coraggio ma non di consapevolezza. La consapevolezza viene dopo , la sicurezza di sé si conquista sul campo della vita e ogni sconfitta ma anche ogni vittoria lascia un segno indelebile che sarebbe inutile voler cancellare con un lifting così come una scritta su una lavagna si cancella con un colpo di spugna.
Le mie rughe parlano di me : della donna che sono oggi e non della ragazza che ero.
Le mie rughe raccontano le storie di una vita e sono ciò che fa di me una donna diversa da tutte le altre con le sue ferite e le cicatrici , con le paure e i vuoti e le sofferenze ma anche le scoperte , le gioie , gli incanti di ogni giorno.
E non ho paura del tempo che é passato perché é passato dentro e non sopra di me , perchè l'ho vissuto ed è per questo che sono nata : per vivere il mio tempo.
Con tutte le mie rughe appuntate sul viso come medaglie.

Otto marzo

Ci incontravamo al mattino presto davanti il liceo .
Qualcuna aveva già il suo rametto di mimose tra i capelli che aveva staccato dagli alberi che ancora fiorivano lungo la strada prima che la moda li saccheggiasse , le altre aspettavano di procurarselo per strada da un venditore improvvisato ,o di riceverlo in regalo dalle amiche e compagne . Allora le mimose erano ancora solo nostre e ce le scambiavano ridendo , non in mazzi o elaborate composizioni , ma in piccoli rametti che appuntavamo ai vestiti o ai capelli e poi magari , passato il giorno , conservavamo per un pò fra le pagine dei libri di scuola ....
Allora l'otto marzo faceva quasi sempre bello o almeno è così nei miei ricordi , e ci muovevamo tutte insieme sotto il sole , con le chitarre e gli striscioni e cominciavamo a cantare già prima che il corteo si formasse con la gente che ci guardava e rideva o più spesso scuoteva la testa in segno di disapprovazione...Nella metà degli anni settanta l' otto marzo non era ancora la festa di tutte le donne ma solo delle femministe e il suo senso profondo era nel nostro essere insieme , nell'andare in piazza a cantare e gridare la nostra rabbia e il nostro orgoglio , la voglia folle di cambiare le cose , di sentirci padrone di noi stesse e libere di decidere della nostra vita , del nostro corpo , del nostro futuro .
Eravamo tutte così giovani e piene di entusiasmo ,così sicure che la nostra lotta avrebbe cambiato non solo la nostra vita ma quella di tutte le donne che sarebbero venute dopo e che avrebbero pensato a noi con rispetto e gratitudine, come si fa con chi segna un cammino e in qualche modo cambia la storia...
Sono passati più di trent'anni da allora e alla luce dei recenti avvenimenti, della sconcertante degenerazione dei costumi e dell' imprevista involuzione della figura femminile nell'immaginario collettivo - maschile e non - , mi chiedo non solo se la lotta abbia cambiato le cose ma persino se sia servita. All'inizio era stata un successo, conquista dopo conquista eravato riuscite ad uscire dal ghetto in cui l'opinione pubblica allora dominante ci aveva relegate e poco a poco avevamo smesso in quanto femministe di scatenare critiche e dissensi, non eravamo più quelle che bruciavano i reggiseni in piazza e offendevano morale e religione con le loro pretese di libertà - a volte vergognose come quella sessuale o quella di una legge che regolasse l'uso, e quindi l'abuso, dell'aborto - e di uguaglianza ma guadagnavamo sempre più spazio nella vita sociale e nel mondo del lavoro al punto che, senza quasi rendercene conto, abbiamo deposto le armi e quel che è peggio abbiamo abbassato la guardia forse convinte che non servisse più lottare e nemmeno difenderci. La parola femminismo diventava desueta, inutile, vuota e addirittura ridicola. Ho visto molte amiche e compagne di lotta di quel periodo provare vergogna per essere state femministe e a volte negare di aver mai creduto davvero negli slogans che urlavano a squarciagola, un pò come fa chi cambia partito politico o squadra di calcio - e devo dire che è molto più facile cambiare ideologia politica che fede calcistica - e pretende di essere credibile rinnegando tutto ciò che è stato prima.
Ad un certo punto si è pensato, e molti lo hanno anche detto, che il femminismo fosse morto e sepolto e bisognava andare oltre . Ma nessuno ha spiegato l' "oltre". Come in una specie di percezione mcluhaniana il contenuto è diventato effimero e inefficace ed è bastata la forma a legittimare la nuova condizione nella quale non c'era più spazio nè motivo per essere e sentirsi femministe, né tanto meno per lottare.
Siamo andate oltre. Ma non avanti bensì indietro. Siamo tornate a qualcosa che non esiste nella storia della donna, nemmeno nei periodi di maggiore discriminazione e oscurantismo, ad una dimensione di apparente parità ma di reale e concreta e terribile alienazione in cui ci umiliamo con la richiesta di quote rosa - e il solo aggettivo dà i brividi - spacciandole per un nostro diritto e dimenticando che ciò che chiedevamo allora non era una corsia preferenziale ma un totale e pieno accesso a quella regolamentare.
Nel frattempo l'Otto Marzo da Festa della Donna - tutto maiuscolo - perché celebrazione della nostra nuova coscienza collettiva e occasione di incontro, di dibattito e di crescita , si è trasformato in una specie di patetico e goliardico Donna Party a base di mangiate, bevute e spogliarelli .
Stasera i locali della città saranno pieni di donne che si divertiranno a scimmiottare atteggiamenti maschili convinte che magari questo basti a renderle uguali agli uomini e che non saranno sfiorate dal dubbio che la vera vittoria è rivendicare la nostra diversità, il nostro essere "noi" , diverse e non uguali, perchè la parità non è omologazione.
Stasera io resterò a casa, con le mie figlie. Ceneremo, rideremo e parleremo, come sempre e come sempre sapremo di essere noi, padrone di noi stesse.
A pensarci bene, la mia piccolissima parte di storia io l'ho cambiata.

Pensiero

E' una cosa strana l'assenza : è come l'ombra di un albero che è sempre stato nel tuo giardino segnando il passo alle stagioni e che il vento imperioso di un improvviso autunno ha abbattuto di colpo...non senti più il profumo dei suoi fiori in primavera nè il fruscio delle sue foglie morte sotto i piedi ma continui a vederlo con gli occhi dell'anima .....